I proprietari di un immobile incaricano due professionisti di redigere un progetto edilizio, in particolare, per la realizzazione di un collegamento coperto tra due immobili. Dopo la conclusione dei lavori, emergono degli abusi edilizi, le opere risultano eseguite con imperizia e il citato collegamento non viene realizzato perché in contrasto con la normativa urbanistica, pertanto, i committenti decidono di agire in giudizio contro la ditta appaltatrice e contro i due architetti. Questi ultimi si difendono sostenendo che i clienti erano edotti del progetto approvato e degli abusi e, pertanto, ritengono di non avere responsabilità.
Il professionista è responsabile se il progetto non rispetta la normativa e il cliente ne è a conoscenza?
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 21 marzo 2023 n. 8058 (testo in calce), ritiene sussistente la responsabilità dell'architetto, dell'ingegnere o del geometra che, nel redigere il progetto edilizio, non assicuri la conformità dell’elaborato alla normativa urbanistica. Infatti, «l’irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica costituisce inadempimento dell'incarico», pertanto, il committente può rifiutare di corrispondere il compenso oppure può chiedere la risoluzione del contratto.
Secondo i giudici di legittimità, il professionista è responsabile – e non ha diritto al compenso – qualora il progetto risulti in contrasto con la normativa urbanistica anche se ciò sia oggetto di un accordo tra le parti per porre in essere un abuso edilizio. Infatti, tale verifica spetta al medesimo professionista «in forza della sua specifica competenza tecnica, e senza che perciò possa rilevare, ai fini dell'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 2226, comma 1, c.c., la firma apposta dal committente sul progetto redatto».
Sommario
- La vicenda
- Progetto errato o inadeguato: sì all’eccezione di inadempimento
- No al compenso se il progetto non è conforme alla normativa
- Inutilizzabilità del progetto: il contratto non è nullo
- Responsabilità solidale di progettista, direttore dei lavori e appaltatore
- Conclusioni: il principio di diritto
La vicenda
I nudi proprietari e l’usufruttuaria di un immobile evocano in giudizio i due architetti a cui avevano affidato l’incarico di progettare la ristrutturazione del bene per adibirlo a residenza familiare. In particolare, l’intenzione dei clienti era di creare un collegamento coperto tra i due rustici presenti sul fondo. Gli architetti erano nominati progettisti e uno di loro direttore dei lavori. La ditta appaltatrice comunicava l’ultimazione dei lavori, ma uno dei nudi proprietari constatava che le opere non erano state ultimate né eseguite con perizia, mancava il collegamento tra gli immobili ed erano presenti degli abusi edilizi per sanare i quali era necessario affrontare ulteriori spese. I committenti agivano in giudizio:
- contro gli architetti, chiedendo la risoluzione del contratto di prestazione d’opera intellettuale e la restituzione della quota di compensi già versata,
- contro la ditta esecutrice chiedendo la risoluzione del contratto di appalto,
- nonché la condanna di tutti i convenuti al risarcimento del danno.
Uno degli architetti spiega domanda riconvenzionale, chiedendo il pagamento residuo delle proprie competenze ed evoca in giudizio la compagnia assicuratrice per essere manlevato in caso di accoglimento della domanda attorea. L’assicurazione, costituitasi in giudizio, eccepisce l’inoperatività della polizza. Nel corso della causa, viene conclusa una transazione tra gli attori, la ditta esecutrice dei lavori e uno degli architetti in relazione alla rispettiva quota di responsabilità.
In primo grado, le domande attoree contro l’altro architetto sono rigettate, atteso che egli era solo il progettista e non era responsabile per l’inesecuzione dei lavori e per gli abusi edilizi; viene, altresì, rigettata la domanda riconvenzionale del professionista.
In sede di gravame, invece, l’architetto viene condannato al pagamento di circa 62 mila euro a favore dei committenti, i quali, a loro volta, sono condannati al pagamento a suo favore, a titolo di compenso, di circa 87 mila euro, e la compagnia assicuratrice viene condannata a tenere indenne il professionista.
Secondo i giudici di merito, l’architetto non era stato inadempiente nella progettazione e la mancata realizzazione del collegamento tra i due edifici era dipesa dal fatto che la normativa non lo consentisse. Inoltre, i committenti erano consapevoli degli abusi edilizi. Tuttavia, era emersa la carenza di controllo da parte dell’architetto durante l’esecuzione dei lavori e la sua responsabilità era stimata nella misura del 30%. Il contratto d’opera intellettuale non poteva dirsi risolto, stante l’assenza di un grave inadempimento da parte del professionista, pertanto, era dovuto il pagamento del compenso.
Si giunge così in Cassazione.
Progetto errato o inadeguato: sì all’eccezione di inadempimento
I committenti lamentano che la sentenza gravata abbia escluso l’inadempimento professionale, benché il progetto redatto non fosse conforme alla normativa urbanistica; infatti, i giudici di merito hanno escluso l’inadempimento perché il professionista aveva avvertito che il progetto contrastava con le norme. Secondo i ricorrenti, l’inadempimento dell’architetto riguarda obbligazioni primarie ed essenziali e gli abusi edilizi integrano un illecito perseguito penalmente dal legislatore. Infine, lamentano che all’architetto sia stato riconoscimento l’intero compenso di circa 87 mila euro, nonostante l’inesatto adempimento nella redazione del computo metrico, del capitolato d’appalto e della contabilità delle opere.
La Suprema Corte considera fondate le doglianze.
In buona sostanza, i ricorrenti censurano la sentenza gravata per aver esonerato l’architetto dalla responsabilità per l’attività di progettazione, in quanto i committenti erano edotti degli abusi.
Gli ermellini ricordano che il contratto d’opera per la realizzazione di un progetto edilizio rappresenta una fase preparatoria e strumentale alla realizzazione concreta dell’opera. Il progettista deve assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica «ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da assicurare la preventiva soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell'opera richiesta dal committente» (Cass. 8014/2012; Cass. 18342/2019).
La giurisprudenza è costante nell’affermare che il progettista (architetto, ingegnere o geometra) nello svolgimento della propria attività – che consiste nel redigere un progetto di costruzione o ristrutturazione – è debitore di un risultato. Infatti, il progettista deve realizzare un progetto che sia utilizzabile sia dal punto di vista tecnico che giuridico. Pertanto, se l’opera è irrealizzabile perché il progetto è errato o inadeguato, il professionista risulta inadempiente e il committente può rifiutare il pagamento del compenso sollevando l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (Cass. 3686/2021; Cass. 1214/2017; Cass.14759/2016; Cass. 8197/2010; Cass. 2257/2007; Cass. 22487/2004; Cass. 11728/2002).
No al compenso se il progetto non è conforme alla normativa
Nell’ambito del contratto di prestazione d’opera intellettuale avente ad oggetto la redazione di un progetto:
- il progettista ha l’obbligo di assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica,
- e il committente ha diritto di pretendere che il lavoro sia svolto a regola d’arte e conformemente agli accordi presi.
Da quanto sopra deriva che se il progetto risulta irrealizzabile per carenze tecniche o giuridiche, il progettista è inadempiente. Pertanto, il committente ha diritto:
- a rifiutare il compenso,
- oppure, nel caso in cui lo abbia già corrisposto, a chiedere la risoluzione ex art. 1453 c.c. e le conseguenti restituzioni.
Per completezza espositiva, si ricorda che il professionista che si obbliga alla redazione di un progetto edilizio deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, svolgendo tutte le attività prodromiche all’ottenimento del provvedimento amministrativo che consenta la legittima esecuzione dell’opera. Tra tali attività è compresa la presentazione della documentazione richiesta dal Comune ai fini del rilascio della concessione edilizia (Cass. 8197/2010; Cass. 562/2019; Cass. 14759/2016).
In un caso esaminato dalla Suprema Corte, il professionista aveva assicurato la fattibilità di un progetto relativo alla costruzione di una villetta, la quale, in realtà, era irrealizzabile alla luce dei divieti imposti dalla normativa ambientale (Cass. 3686/2021).
In tale circostanza, è fondata l’eccezione di inadempimento del committente perché i progetti immobiliari redatti dall’architetto si erano rivelati irrealizzabili, in quanto non approvati dal Comune, poiché contrastanti con prescrizioni urbanistiche o implicanti il consenso, invece mancato, del proprietario di altro immobile. Secondo la giurisprudenza, «è comunque addebitabile al professionista il mancato conseguimento dello scopo pratico avuto mira dal committente, quando sia conseguenza di errori commessi dal professionista medesimo nella formazione dell’elaborato, che lo rendano inidoneo ad essere attuato».
Inutilizzabilità del progetto: il contratto non è nullo
Il contratto di prestazione d’opera intellettuale, in base al quale il professionista abbia realizzato un progetto di un edificio, totalmente o parzialmente, non conforme alla disciplina edilizia, non è nullo per contrasto con le norme imperative e l’ordine pubblico, né per impossibilità dell’oggetto. Infatti, «la prestazione cui è contrattualmente vincolato il progettista [è] eseguibile anche dal punto di vista giuridico, in quanto la disciplina degli illeciti urbanistici preclude non le attività concettuali, come la progettazione, quanto le attività costruttive e di lottizzazione che vi diano poi esecuzione» (Cass. 24086/2019; Cass. 5790/1996; Cass. 8941/1994).
Responsabilità solidale di progettista, direttore dei lavori e appaltatore
I ricorrenti lamentano che i giudici di merito abbiano ritenuto erroneamente che ambedue gli architetti fossero direttori dei lavori, mentre rivestiva tale incarico solo l’odierno resistente, pertanto, egli non è corresponsabile con l’altro professionista, ma è l’unico responsabile. Quindi, la sentenza ha errato nel riconoscere la sua corresponsabilità solo nella misura del 30%.
I giudici di legittimità considerano infondato il motivo per errata individuazione della censura.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che sussista un vincolo di responsabilità solidale tra:
- il progettista,
- l’appaltatore,
- e il direttore dei lavori
i quali, con i rispettivi inadempimenti, abbiano concorso a cagionare il danno al committente (Cass. 18289/2020; Cass. 29218/2017; Cass. 3651/2016). Solo nei rapporti interni tra detti professionisti ai fini dell’esercizio dell’azione di regresso (ex art. 2055 c. 2 c.c.) deve tenersi conto delle quote rispettive di responsabilità.
Ciò premesso, la Corte d’Appello, ha diminuito il risarcimento del danno in virtù del concorso di colpa dei danneggiati (ex art. 1227 c. 2 c.c.) non escludendo, per il resto, la configurabilità dell’obbligazione solidale dei corresponsabili. Tuttavia, i ricorrenti non hanno proposto una specifica censura in relazione alla violazione del vincolo di solidarietà passiva (ex art. 2055 c. 1 c.c.) circa l’intero importo risarcitorio ma si sono limitati a chiedere una rideterminazione della divisione dell’obbligazione risarcitoria tra i corresponsabili e tale valutazione spetta unicamente al giudice di merito.
Conclusioni: il principio di diritto
In conclusione, la Suprema Corte cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello che dovrà rinnovare l’esame alla luce di quanto sopra esposto e del seguente principio di diritto:
- «sussiste la responsabilità dell'architetto, dell'ingegnere o del geometra, il quale, nell'espletamento dell'attività professionale consistente nell'obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, non assicuri la conformità dello stesso alla normativa urbanistica, in quanto l'irrealizzabilità del progetto per inadeguatezze di natura tecnica costituisce inadempimento dell'incarico e consente al committente di rifiutare di corrispondergli il compenso, ovvero di chiedere la risoluzione del contratto.
- Né la responsabilità del professionista viene meno e può riconoscersi il suo diritto ad ottenere il corrispettivo ove la progettazione di una costruzione o di una ristrutturazione in contrasto con la normativa urbanistica sia oggetto di un accordo tra le parti per porre in essere un abuso edilizio, spettando tale verifica al medesimo professionista, in forza della sua specifica competenza tecnica, e senza che perciò possa rilevare, ai fini dell'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 2226, comma 1, c.c., la firma apposta dal committente sul progetto redatto».
ALLEGATO: Cassazione civile, sentenza n. 8058/2023