La superficie utile a scongiurare il rischio di trattamenti violativi dell’art. 3 CEDU è quella direttamente o, comunque, agevolmente funzionale alla libertà di movimento del recluso all’interno della cella (Cassazione penale, sentenza n. 18760/2023 - testo in calce).
Sommario
Il fatto
La sentenza che si annota è stata emessa in seguito al ricorso per cassazione del Ministero della Giustizia a fronte del riconoscimento a un detenuto dell’indennizzo pecuniario per il pregiudizio derivante dalle condizioni inumane e degradanti della detenzione subite.
In particolare l’Avvocatura di Stato, in rappresentanza del Ministero ricorrente, deduceva l’erroneità dei criteri di computo dello spazio individuale disponibile, adoperati dalla magistratura di sorveglianza, la quale non vi aveva incluso lo spazio occupato in cella dal letto singolo.
La questione
La questione che si pone nel caso in esame è se, in tema di conformità delle condizioni di detenzione all’articolo 3 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, nello spazio minimo disponibile di tre metri quadrati per ogni detenuto debba o meno essere computato il letto singolo.
Il tema dei criteri di computo dello spazio vitale minimo della cella è stato oggetto di numerose pronunce, specie in riferimento al contenzioso sviluppatosi dopo l’introduzione, nel giugno del 2014, dello specifico rimedio di cui all’articolo 35 ter ord. pen.
La necessità di determinare dei criteri generali di computo deriva dalla esistenza di una normativa che non precisa quale sia lo spazio vitale minimo spettante al soggetto posto in restrizione di libertà e, al contempo, opera un rinvio (articolo 35 ter comma 1) ai contenuti della giurisprudenza della Corte Edu, per sua natura casistica, in tema di violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti (articolo 3 Conv. Edu).
ll criterio che la giurisprudenza, nella maggior parte delle decisioni, ha adottato, è stato quello di valorizzare la dimensione funzionale del cd. spazio vitale minimo, da intendersi quale “spazio destinato al movimento” all’interno della cella, con ciò escludendo dal computo non soltanto la superficie del bagno ma anche la superficie occupata da arredi fissi o ingombranti.
Essendo sorti contrasti sia in rapporto alla concretizzazione funzionale dello spazio minimo che in riferimento alla tipologia di arredi da scomputare nel calcolo, il tema dei criteri di computo dello spazio vitale è stato rimesso alle determinazioni delle Sezioni Unite, le quali, con la decisione n. 6551 del 2021, hanno affermato che nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinchè lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’articolo 3 della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella con esclusione degli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello.
Orbene posto che nella sentenza in esame si opera riferimento espresso ai letti a castello e agli armadi fissi, in alcune pronunce (cfr., ad es., Cass. Pen., 20786/2022) si è ritenuto che i letti singoli, che per loro natura possono essere spostati, vadano calcolati nel computo dello spazio minimo utile; ciò, a differenza del letto a castello che viene ritenuto ingombro tale da determinare la sottrazione dello spazio occupato dal computo della superficie utile.
Secondo un altro indirizzo interpretativo (cfr., ad es., Cass. Pen., 18681/2022) la considerazione secondo cui il letto singolo può essere utilizzato per finalità ulteriori rispetto al riposo (leggere, giocare a carte, parlare ecc.), a differenza del letto a castello, non rileva per la decisione in punto di sovraffollamento: se infatti il letto singolo è ancorato al suolo, i detenuti all’interno della cella non possono utilizzare lo spazio dallo stesso occupato per camminare e per spostarsi; diversamente c’è la possibilità di spostarlo durante il giorno per specifiche necessità, al pari delle sedie e di tavolini, e, quindi, di utilizzare il relativo spazio.
Secondo questo orientamento, inoltre, se è vero che le Sezioni Unite abbiano affermato che lo spazio occupato dal letto a castello, non essendo lo stesso spostabile, debba essere detratto da quello complessiva della stanza al fine di verificare il rispetto della superficie minima pro-capite, è vero anche che non abbiano affermato, al contrario, che la superficie occupata dai letti singoli non debba essere detratta: pertanto, la detrazione deve essere operata se i letti singoli sono ancorati al suolo, perchè non sono, in questo caso, mobili, mentre non deve esserlo se possono essere spostati.
Vedremo come la pronuncia che si annota è andata oltre, estendendo i principi enunciati dalle Sezioni Unite per il letto a castello al letto singolo.
La sentenza
Secondo la pronuncia in esame, pur se il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite Commisso si riferisce testualmente, e in modo esemplificativo, solo alla necessità di detrarre la superficie occupata dai letti a castello da quella destinata al normale movimento all’interno della cella, le argomentazioni utilizzate offrono una chiave interpretativa, che consente di estendere lo stesso principio ai letti singoli, conformemente, del resto, a quanto statuito dalle Sezioni civili, secondo cui nel caso del letto singolo come nel caso del letto a castello è compromesso il “movimento” del detenuto nella cella: ciò in quanto, ancorchè lo spazio occupato dal primo sia usufruibile per il riposo e l’attività sedentaria, tali funzioni organiche vitali sono fisiologicamente diverse dal “movimento”, il quale postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente “libero”.
Ad avviso della Sezione assegnataria del ricorso, le Sezioni Unite penali, al pari delle Sezioni civili, abbracciano un’interpretazione dello spazio minimo volta ad attribuire preminente rilievo alla superficie destinata ad assicurare il normale movimento dei detenuti all’interno della cella, un’interpretazione che ravvisa nello spazio minimo detentivo una sorta di «riserva di libero movimento», con la conseguenza che nel calcolo dello spazio disponibile e direttamente fruibile per la deambulazione e gli spostamenti degli occupanti occorre includere l’area occupata dagli arredi che, potendo essere agevolmente rimossi, non ostacolano il «calpestio»; mentre vanno detratti dal computo gli arredi «tendenzialmente fissi».
La categoria degli arredi tendenzialmente fissi si presenta come categoria intermedia tra fisso e mobile, cioè arredi mobili che, pur essendo trasportabili da un punto all’altro della cella, non possono tuttavia essere trasportati facilmente e limitano in modo significativo il libero movimento dei detenuto all’interno della cella al pari di quelli fissi.
In questa prospettiva il letto singolo deve essere inteso come un arredo tendenzialmente fisso, e quindi escluso dalla superficie utile a soddisfare la primaria esigenza di movimento dei soggetti ristretti. È infatti contrario alla quotidiana, comune esperienza, che un letto, ancorché non infisso al suolo, possa essere considerato un arredo suscettibile di facile amozione e trasporto all’interno di una stanza da parte di colui che abbia bisogno di muoversi nel medesimo locale per attendere alle sue normali attività. Alla luce di tali argomentazioni, escludendo che gli arredi di notevole peso e ingombro, quale un letto completo di materasso, possano essere facilmente spostati da un punto all’altro della cella specie se le dimensioni di quest’ultima consentono spazi personali agibili complessivi assai ridotti, limitati a 3 o 4 MQ, la sentenza ha rigettato il ricorso del Ministero.