I crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi corrispettivi o di pieno diritto (art. 1282 c.c.). Quando diviene esigibile un credito vantato nei confronti della P.A.?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 4 gennaio 2023 n. 118 (testo in calce), afferma che il credito pecuniario vantato verso la Pubblica Amministrazione non è né liquido né esigibile – e, quindi, risulta improduttivo di interessi corrispettivi – sino a che la stessa amministrazione non abbia emesso il titolo di spesa. Infatti, secondo la disciplina sulla contabilità generale dello Stato (art. 270 R.D. 827/1924), i crediti sono inesigibili e illiquidi prima dell’emissione del mandato di pagamento.
I giudici di legittimità ritengono di non seguire l’indirizzo minoritario secondo cui i debiti dello Stato e degli enti pubblici sono liquidi ed esigibili e, quindi, produttivi di interessi corrispettivi, quando ne è determinato l’ammontare, a prescindere dal procedimento contabile di impegno e ordinazione della spesa (Cass. 11655/2020).
Sommario
- La vicenda
- Riferimenti normativi
- Credito verso la P.A. inesigibile prima dell’emissione del mandato di pagamento
- Indirizzo minoritario: credito esigibile anche senza titolo di spesa
- Colpevole ritardo nella procedura di liquidazione: sì agli interessi moratori
- La costituzione in mora e la mora automatica: differenze
- Non opera la mora automatica (ex re)
- Accreditamento e caducazione delle convenzioni anteriori
- Conclusioni
La vicenda
Una casa di cura agisce in via monitoria contro un’azienda ULSS – ente strumentale della Regione –per ottenere il pagamento di circa 44 mila euro relativi a prestazioni sanitarie. L’azienda sanitaria si oppone, deducendo l’avvenuto pagamento della sorte capitale nel 2005 a fronte di fatture emesse nel 2004. Il Tribunale revoca il decreto ingiuntivo, ma condanna l’opponente al pagamento degli interessi maturati per ciascuna fattura a partire dal 91° giorno successivo al ricevimento. Anche in sede di gravame viene confermata la condanna al pagamento degli interessi.
Tra le parti era stata conclusa una convenzione nel 1991 che prevedeva il decorso degli interessi come indicati dalla decisione del tribunale. Tale convenzione, secondo i giudici di merito, era operante sia dopo l’introduzione dell’istituto del preaccreditamento – in quanto risultava rinnovata ogni triennio – sia dopo l’entrata in vigore della disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (d.lgs. 231/2002). Quest’ultima normativa è applicabile tra le parti anche se l’azienda sanitaria è un ente strumentale della Regione, infatti, riguarda anche le transazioni commerciali tra imprese e pubbliche amministrazioni. Per la Corte d’Appello, una volta decorso il termine di 90 giorni dal ricevimento della fattura senza emissione del mandato di pagamento, e in difetto di prova del ritardo determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, scatta la mora automatica, regolata dal d.lgs. 231/2002.
Si giunge così in Cassazione.
Riferimenti normativi
Nel caso in esame vengono in rilievo le seguenti disposizioni.
- Il R.D. 827/1924 in materia di contabilità generale dello Stato; tale disciplina si applica anche alle aziende sanitarie (ai sensi del d. lgs. 502/1992 recante il “Riordino della disciplina in materia sanitaria”). L’art. 270 R.D. cit. dispone che le spese dello Stato passano per i seguenti stadi: 1) impegno; 2) liquidazione; 3) ordinazione e pagamento.
- Il succitato d.lgs. 502/1992, in particolare l’art. 8 e seguenti, in relazione alla necessità di un provvedimento concessorio di accreditamento per l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio.
- La legge 724/1994 recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”, in particolare, l’art. 6 che ha integrato l’art. 8 di cui sopra in relazione all’istituto del preaccreditamento.
Credito verso la P.A. inesigibile prima dell’emissione del mandato di pagamento
Secondo la ricorrente, il credito – prima dell'emissione del mandato di pagamento – è illiquido e inesigibile, in virtù di quanto previsto dalle norme sulla contabilità generale dello Stato (R.D. 827/1924), estendibili alle aziende sanitarie.
La Suprema Corte considera fondata la doglianza.
Infatti, il credito pecuniario vantato nei confronti della Pubblica Amministrazione non è né liquido né esigibile, sino a che la stessa amministrazione non abbia emesso il titolo di spesa, in conformità a quanto previsto dall'art. 270 R.D. 827/1924 (Cass. 13859/02, Cass. 17909/2004, Cass. 6203/2009).
La giurisprudenza di legittimità afferma quanto segue:
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«La liquidità e l'esigibilità del credito - necessarie perché questo produca interessi ai sensi dell'art. 1282 c.c., possono essere escluse anche da circostanze e modalità di accertamento dell'obbligazione in ragione della natura pubblicistica del soggetto debitore, cosicché, qualora ai fini della decorrenza degli interessi corrispettivi sia necessario stabilire il momento in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile, l'accertamento di tale duplice requisito non può prescindere dal presupposto formale dell'emissione del titolo di spesa - ai sensi del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art.270, che, sia pure alla stregua di una regola di condotta interna alla pubblica amministrazione (che da una norma di legge ripete la sua efficacia vincolante interna), condiziona e realizza il requisito suddetto» (Cass. 6203/2009).
Un credito illiquido e inesigibile non può produrre interessi corrispettivi, come si evince dall’art. 1282 c. 1 c.c. a mente del quale “i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente”.
La necessità del titolo di spesa ai fini della liquidità del credito vale per lo Stato e gli enti pubblici, comprese le aziende sanitarie, qualora i pagamenti debbano seguire la procedura contabile di cui al mentovato Regio Decreto.
La disciplina differente prevista a seconda che il debitore sia pubblico o privato trova la propria ratio nel fatto che il primo persegue interessi generali anche nell’esecuzione dei rapporti obbligatori. Proprio in ragione di ciò è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 270 R.D. 827/1924 per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (Cass. 1749/2008).
Indirizzo minoritario: credito esigibile anche senza titolo di spesa
Per completezza espositiva, si segnala una pronuncia isolata, a cui la Suprema Corte non intende dare continuità, secondo cui i debiti dello Stato e degli enti pubblici sono liquidi ed esigibili e, quindi, produttivi di interessi corrispettivi, quando ne è determinato l’ammontare. Pertanto, alla scadenza, è possibile ottenere l’adempimento a prescindere dal cosiddetto titolo di spesa, ossia a prescindere dal procedimento contabile di impegno e ordinazione di spesa. Tale iter rappresenta una regola di condotta interna della P.A. ed esterna rispetto alla fattispecie costitutiva dell’obbligazione (Cass. 11655/2020).
I giudici di legittimità ritengono l’indirizzo maggioritario più persuasivo, in relazione alla differenza tra debitore privato e pubblico. La nozione di liquidità va intesa in senso differente nel caso in cui vi sia un rapporto con una Pubblica Amministrazione e il credito diventa liquido all’esito del completamento del procedimento amministrativo di liquidazione.
Colpevole ritardo nella procedura di liquidazione: sì agli interessi moratori
Gli ermellini precisano che quanto sopra esposto non si pone in contrasto con una recente decisione (Cass. 29776/2020) secondo cui l'effetto liberatorio per la pubblica amministrazione debitrice non deriva dalla mera emissione del mandato o dell'ordine di pagamento. Tale atto è insufficiente a rendere la somma disponibile per il creditore se non avviene anche la comunicazione dell'emissione dell'ordinativo di pagamento: «atto recettizio che pone il creditore in condizione di esigere il pagamento con la presentazione del mandato all'ufficio competente».
Infatti, nel procedimento di pagamento dei debiti delle P.A., il momento di liberazione del debitore pubblico è anticipato al momento dell’emissione dell’ordinativo rispetto a quello di incasso della somma dovuta da parte del creditore. Nondimeno, il suddetto effetto liberatorio non può avvenire nell'inconsapevolezza del creditore, che non sia debitamente informato e non venga posto in condizione di riscuotere il credito (Cass. 15504/2022).
Quanto detto riguarda gli interessi corrispettivi «perché questi decorrono sì di pieno diritto (art. 1282 c.c.) ma presuppongono che il debito sia divenuto liquido all'esito del procedimento amministrativo culminato col mandato di pagamento».
Invece, nell’ipotesi di ritardo colpevole nell’espletamento della procedura di liquidazione, la Pubblica Amministrazione deve corrispondere gli interessi moratori a prescindere dal fatto che sia stato emesso o meno il mandato di pagamento (Cass. SS. UU. 2065/1980; Cass. SS. UU. 359/1985). Infatti, la circostanza che i crediti verso lo Stato siano esigibili tramite l'emissione del mandato di pagamento, non esclude che l'amministrazione debitrice sia tenuta agli interessi moratori ed al risarcimento del danno, qualora colposamente ritardi l'attivazione di detti procedimenti.
La costituzione in mora e la mora automatica: differenze
La pronuncia impugnata:
- ha ritenuto che la costituzione in mora sia avvenuta con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo nel maggio 2005, prima dell’emissione dei mandati di pagamento risalenti a giugno e dicembre 2005 (mora ex persona) ed ha escluso l’applicabilità della disciplina sulla mora automatica in assenza dell’emissione del mandato di pagamento,
- successivamente, ha fatto riferimento alla convenzione stipulata tra le parti come base di una mora automatica (mora ex re) con decorrenza degli interessi dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, in applicazione di quanto previsto dal d.lgs. 231/2002.
I giudici di legittimità ritengono che la motivazione della decisione gravata sia contraddittoria e illogica. Infatti, la pronuncia fa riferimento alla costituzione in mora pur affermando che si tratti di un caso di mora automatica e, al contempo, esclude l’applicabilità delle regole sulla mora ex re.
Per completezza espositiva, si ricorda che la mora può essere: a) ex persona, se presuppone l’intimazione del creditore; b) ex re, se si produce automaticamente con la scadenza del termine.
Nel primo caso, il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto, la cosiddetta “messa in mora” (art. 1219 c. 1 c.c.); nel secondo, invece, la costituzione in mora non è necessaria, ma avviene automaticamente nei seguenti casi (art. 1219 c. 2 c.c.):
- quando il debito deriva da fatto illecito,
- quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l'obbligazione,
- quando è scaduto il termine se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore (trattasi delle obbligazioni portables come quelle pecuniarie ex art. 1182 c. 3 c.c.).
Non opera la mora automatica (ex re)
Per giurisprudenza costante, «le obbligazioni pecuniarie da adempiere al domicilio del creditore sono (art. 1182 c.c.), agli effetti sia della mora ex re, sia del forum destinatae solutionis, esclusivamente quelle liquide, delle quali cioè il titolo determini l'ammontare o indichi criteri determinativi non discrezionali» (Cass. SS. UU. 17989/2016).
Ciò premesso, secondo gli ermellini, nel caso di specie, non opera la mora ex re per le seguenti ragioni.
Per quanto riguarda le somme dovute dalle aziende sanitarie si applicano le norme sulla contabilità dello Stato a mente delle quali occorre il mandato di pagamento. Il luogo di adempimento dell'obbligazione pecuniaria è dove si trova l'ufficio di tesoreria delegato all'esecuzione del mandato (Cass. 24157/2013). Quindi, non è possibile far riferimento:
- né all'art. 1182, comma 3, c.c. secondo cui l'obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza,
- né all'art. 1219, n. 3 c.c. secondo cui scatta la mora ex re per le obbligazioni che vanno adempiute presso il domicilio del creditore.
Accreditamento e caducazione delle convenzioni anteriori
La sentenza gravata ha applicato la mora automatica ritenendo che il credito fosse liquido, basandosi sul titolo costituito dalla convenzione sanitaria del 1991, che aveva stabilito che la liquidazione delle competenze della casa di cura sarebbe stata effettuata dalla Ulss “non oltre novanta giorni dalla notifica dei conti mensili”. Tuttavia, in ambito sanitario, il passaggio dal regime di convenzionamento esterno a quello di accreditamento (art. 8 d.lgs. 502/1992 e art. 6 legge 724/1994) non ha modificato la natura del rapporto esistente tra la P.A. e le strutture private. Tale rapporto ha natura concessoria e ha comportato la caducazione delle convenzioni anteriori.
Nel caso di specie, l’opponente è un ente strumentale della Regione. Ebbene, le Regioni non possono essere gravate dall’onere di erogare prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato (Cass. 6003/2022). Pertanto, è irrilevante, ai fini del compenso, la mera prosecuzione dell’attività in base ad una convenzione anteriore essendo essa venuta meno. In altre parole, il sistema dell’accreditamento ha comportato la cessazione dei rapporti contrattuali anteriormente vigenti, infatti, «essendosi in presenza di concessioni ex lege di attività di servizio pubblico, la disciplina delle stesse deve essere dettata in via generale dalla legge, pur con rinvii integrativi a norme di secondo grado o regionali (così Cass. SS.UU. 9284/2002, Cass. SS.UU. 88/1999)».
Pertanto, la sentenza gravata erra laddove ritiene operante la detta convenzione, infatti:
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«Questo fatto, di essersi in presenza di attività rientranti tra i compiti fondamentali dello Stato, quale la realizzazione dell'interesse pubblico alla salute, ancorché da adempiere mediante strutture pubbliche o con altre a titolarità privata, implica il necessario ricorso a controlli anche preventivi in relazione alla particolare importanza della materia e alla rilevantissima incidenza economico-finanziaria del settore. Il che impedisce di considerare compatibili - in astratto - metodiche di stampo automatico quali quello che la corte d'appello di Venezia dice aver caratterizzato la fattispecie in esame, basate su una convenzione anteriore - del 1991 - automaticamente rinnovata ogni triennio».
Conclusioni
In conclusione, la Suprema Corte cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello che dovrà rinnovare l’esame alla luce dei principi esposti e deciderà anche sulle spese di legittimità.
ALLEGATO: Cassazione civile, ordinanza n. 118/2023